dal sito di repubblica.it
(http://www.repubblica.it/scuola/2010/10/06/news/universit_caos-7770247/?ref=HREC1-10)
Da anni garantiscono la didattica anche se non è un loro compito. E ora, per protesta contro la Gelmini che li ha tagliati, mettono on line la lista delle università dove non andranno oltre le loro mansioni. Mentre è corsa contro il tempo per approvare la riforma
di SALVO INTRAVAIA
Avvio delle lezioni nel caos all'università. La protesta dei ricercatori contro la riforma Gelmini rischia di bloccare buona parte dell'offerta formativa per l'anno accademico 2010/2011. I ricercatori, che da anni si occupano anche della didattica impartendo anche più di un insegnamento, sono determinati e intendono incrociare le braccia. Il loro contratto non prevede infatti l'obbligo di insegnare e il loro rifiuto getterà nel panico presidi e rettori. Intanto, la politica sta cercando di chiudere al più presto la partita della riforma, magari con qualche aggiustamento che scongiuri il blocco delle attività didattiche da parte dei ricercatori.
Il Cnru (il Coordinamento nazionale dei ricercatori universitari) pochi giorni fa ha messo in linea una lettera aperta indirizzata a studenti e genitori, che spiega loro a cosa andranno incontro quest'anno. "I ricercatori universitari italiani stanno protestando contro il disegno di legge sull'università e la manovra finanziaria dell'onorevole Tremonti. Questa forma di protesta - avvertono - comporterà disagi anche per voi". L'elenco di università e facoltà in cui i ricercatori hanno deciso di ritirare la loro disponibilità all'insegnamento è lunghissima.
Da Torino a Palermo, nei mesi scorsi si sono svolte assemblee e manifestazioni che si sono concluse quasi sempre allo stesso modo: un documento in cui viene ritirata la disponibilità ad impartire lezioni da parte dei ricercatori. Al Politecnico di Bari sono 74 coloro che hanno dichiarato la loro "indisponibilità a coprire incarichi di insegnamento e di garanzia" per il prossimo anno accademico. Stesso discorso per i ricercatori di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, della facoltà di Psicologia e della facoltà di Lingue e letterature straniere dell'università di Torino.
"A Palermo - scrivono i ricercatori di Medicina - molto probabilmente non potranno essere attivati gran parte dei corsi di laurea triennali a partire dal prossimo anno accademico". Stesso discorso per la facoltà di Lettere e Filosofia e Ingegneria gestionale: complessivamente nell'ateneo siciliano il 56% dei ricercatori. A Roma iniziative analoghe riguardano Tor Vergata e La Sapienza. Ma anche Siena, L'Aquila, Brescia, Camerino, Catania, Genova, Reggio Emilia, Napoli, Parma, Pavia, Trieste, Udine e Verona, solo per citare alcuni atenei. Ovviamente, la situazione è fluida: non tutti i ricercatori aderiranno alla protesta le braccia. Ma non è difficile immaginare che la presa di posizione dei ricercatori rischia di fare saltare tutto. Negli atenei italiani sono oltre 25 mila: 4 "docenti" su 10. E quasi tutti sono titolari di almeno un insegnamento.
Ma non basta: i 34 mila prof ordinari e associati sono coadiuvati da 20 mila docenti a contratto. Se, quindi, i 25 mila ricercatori dovessero decidere in blocco di astenersi dalle lezioni, l'intera macchina didattica si incepperebbe. "I ricercatori - scrivono quelli del Cnru - stanno protestando nell'unica maniera civile e legale a loro concessa, quindi, non insegneranno più". Ed elencano anche le conseguenze di questa decisione. "La riduzione dell'offerta formativa degli atenei: molti studenti andando nelle segreterie non troveranno più, probabilmente, i corsi che avrebbero voluto frequentare e dovranno cercarseli in altre università, ammesso che - spiegano - in altre università, senza i ricercatori, tali corsi possano essere attivati. Questa è la realtà".
Una prospettiva da incubo per le decine di migliaia di studenti che si accingono a varcare la soglia degli atenei italiani. Ma non solo. Secondo i ricercatori, "le tasse di iscrizione aumenteranno, i servizi per gli studenti si ridurranno, l'offerta formativa calerà drasticamente in quantità e qualità". E si tratta di esempi. A chi si rivolgeranno gli studenti per i dubbi sulla lezione? I ricercatori sono in generale più disponibili dei prof. Alla base della protesta i tagli imposti dal ministro dell'Economia, Giulio Tremonti, al sistema universitario pubblico, ma anche per la riforma Gelmini che, per dirla con parole loro, "rottama" i ricercatori attuali. Che fine faranno, si chiedono, nell'università riformata?
Intanto, l'approvazione della riforma va per le lunghe. Pochi giorni fa, su richiesta del capogruppo alla camera del Pd, Dario Franceschini, la discussione del disegno di legge approvato al Senato è stata calendarizzata per il 14 ottobre prossimo. Ma, fa notare il presidente della Crui (la Conferenza dei rettori italiani) Enrico Decleva, a metà ottobre incombe la sessione di bilancio e tutto potrebbe slittare al 2011. E se a marzo si andasse alle elezioni anticipate, la riforma naufragherebbe. Ma potrebbe essere Gianfranco Fini a togliere le castagne dal fuoco al governo. Fini ha proposto di fare votare la camera anche venerdì 15 e sabato 16 ottobre, per approvare in tutta fretta la riforma già passata al Senato. In questo caso, però, non potrebbero introdursi le modifiche che i ricercatori sperano di ottenere.
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